Le avventure di Eli e Leo

9 settembre, ciao ciao Russia, è tempo di bilanci.

Sono le 23:03 a Irkutsk e io è Leo siamo sul treno che ci porterà ad Ulanbataar in due giorni.
Questa volta condividiamo lo scompartimento con uno svizzero. È un agente di viaggi che viaggia da Mosca fino alla Mongolia. Non avevo mai incontrato un agente di viaggi, pensavo passassero il loro tempo in ufficio ad organizzare i viaggi degli altri. L’ho trovato molto divertente, ma questa immagino sia una cosa mia.
Nel vagone in generale ci sono un sacco di turisti, olandesi accertati, sono la maggior parte in questo viaggio. Pochi russi. Questo rende le cose meno romantiche, visto che in tutte le tratte fino a questo punto c’erano soprattutto russi. Non si parlava tanto, ma ci si capiva e soprattutto si aveva quella sensazione di avventura. Ora sembra di stare in qualunque treno in Germania.

Cmq non facciamo i criticoni e facciamo il punto della situazione sulla Russia. In base alle tappe che abbiamo fatto noi, posso dire che è quasi spaccata a metà: la prima parte è quella delle grandi città dinamiche e cosmopolite, la seconda dei centri un po’ più piccoli e più selvaggi che si aprono al turismo, ma rimangono ancora strettamente locali.
La Russia della grandi città è più slava, mentre da Irkutsk in poi ci sono tantissimi mongoli. Nelle grandi città è predominante la fede ortodossa, da Irkutsk in poi, nonostante le bellissime chiese anche qui, ci sono i totem degli shamani ricoperti di nastri colorati.

In generale la Russia è un paese di macchine, dove corrono ad altissime velocità anche nei centri abitati. Una cosa inconcepibile per me, soprattutto venendo dalla Scozia. La cosa positiva è che sono molto rispettosi dei semafori e delle strisce pedonali.
Forse l’esperienza più particolare con le macchine russe e gli autisti russi l’abbiamo avuta proprio in questa seconda parte del viaggio e dopo cinque giorni posso tranquillamente dire che sono dei pazzi scalmanati ed incoscienti. Guidano dei furgoni vecchi e fatiscenti e corrono come matti. La regola è portarti dal punto A al punto B nel minor tempo possibile e caricando il maggior numero di persone.
Ovviamente cinture di sicurezza e poggia testa non esistono. Le strade poi sono rovinate dalla neve che crea delle grosse buche. Il limite di velocità non è un concetto relativo alla sicurezza stradale, ma al fatto di non distruggere un furgone che rappresenta l’unica fonte di sostentamento.

Tutto questo è ancora peggio sull’isola di Olkhon, qui non ci sono strade asfaltate, ma strade bianche ricoperte di sabbia, oppure anche solo sentieri che si sono formati con il passaggio costante delle auto. Questi sentieri molto spesso costeggiano dei dirupi che vengono approcciati dalle guide a tutta velocità. Gli autisti erano molto sicuri di se, i russi consideravano tutto questo normale e io, anche se avevo molta paura, non avevo altra scelta.

La cosa divertente è che anche se ci sono delle fermate “ufficiali”, gli autisti si fermano ovunque a caricare gente e anche noi prendevamo la macchina dove capitava. Questo mi piaceva parecchio.

L’isola di Olkhon l’abbiamo girata in pratica su questi furgoni, vista la mancanza di tempo. È molto bella e diversa da altri posti in cui sono stata. Metà è brulla, l’altra metà è ricoperta di foreste. È una zona sismica, forse e questo che intendevano per energia shamanica e nel 2011 c’è stato anche un brutto terremoto che ha provocato molti danni.

Noi abbiamo pernottato dalla signora Olga, una signora piccola ma robusta con i capelli corti e rossi. Ci siamo trovati bene, a parte sicuramente i servizi igienici visto che lavandini, tazze e doccie stavano in tre parti diverse del cortile della casa e che che le docce non funzionavano benissimo.
Il fatto che se la notte ti scappava la pipì te la tenevi perché fuori faceva freddissimo era compensato dalla cucina. I pasti più buoni e regolali li abbiamo avuti in questo ostello, ma che bontà. Si vedeva che era tutto cucinato fresco e con cura.

Il giorno intero che abbiamo passato sull’isola abbiamo fatto un tour con altri turisti russi. Sempre su un furgone russo fatiscente. Abbiamo visitato i punti più belli dell’isola è conosciuto un po’ di leggende. La guida era russa, ma fortunatamente c’era una ragazza che parlava in inglese e ci raccontava le spiegazioni.
La guida era di origini mongole, esattamente un buyat, una popolazione che pratica il culto animistico dello shamanismo. I buyat, anche se sono stati convertiti alla religione ortodossa hanno continuato le loro o tradizioni animiste. L’isola è disseminata di totem e di alberi ai quali le persone legavano dei nastrini colorati a seconda del desiderio che esprimevano. Ad esempio è giallo se il desiderio ha a che fare con la salute.

Ci sarebbero tante altre cose da raccontare, ma mi fermo qui.

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